Abbiamo conosciuto Elisa grazie a @redbordermagazine e al loro post dedicato alla Puglia, la sua terra d’origine. Fashion stylist, content creator, social media manager e mente creativa dietro @all.inmagazine, il suo percorso è una combinazione di ricerca, passione e desiderio di costruire qualcosa che vada oltre la semplice estetica.
Nel corso dell’intervista, ci ha raccontato del legame con la sua terra, di come inizialmente sentisse il bisogno di lasciarla e di quanto, con il tempo e l’esperienza, abbia riscoperto il valore delle proprie radici.
Ci ha parlato della sua visione della moda come forma di espressione continua, della ricerca costante di un linguaggio che possa rappresentarla e del ruolo fondamentale della collettività, soprattutto nello streetwear. Abbiamo discusso anche di Milano, una città ricca di opportunità ma che, come ci ha raccontato, può essere allo stesso tempo stimolante e complessa da vivere. Un confronto che ci ha fatto riflettere su talento, appartenenza e sull’importanza di trovare il proprio spazio nel mondo creativo.
Siamo quindi entusiasti di condividere con voi le interessanti riflessioni fatte con Elisa:
Come hanno già anticipato i nostri colleghi, possiamo dire tranquillamente che questo è stato l'anno della puglia e in spettro maggiore del sud Italia. Molti talenti meridionali sono emersi nell'ultimo anno, ma particolarmente dal basso meridione e dalle isole.
Volevamo sapere intanto perché proprio nell'ultimo anno sono iniziati ad emergere questi talenti, è cambiato qualcosa nella struttura sociale dal tuo punto di vista? Successivamente, da parte tua, qual è il legame tra la tua terra e l'arte, la moda e tutto ciò che la riguarda?
Innanzitutto voglio ringraziare voi del team di Persona peravermi dato quest’opportunità. E’ un’intervista che è iniziata con una domanda molto interessante, che potrebbe aver mille risposte e probabilmente anche piuttosto lunghe. Ovviamente i talenti in Puglia, in Meridione in generale, ci son sempre stati: basti pensare che Gianni e Donatella Versace sono calabresi, Anna dello Russo è barese.
Nonostante questo, dal mio punto di vista siamo sempre rimasti nell’ombra, c’eravamo ma nessuno parlava di noi o non ci si rendeva conto di quanti talenti meridionali spiccassero a Milano. Banalmente, credo che l’esordio con conseguente ascesa di rapper, in generale creativi pugliesi, abbia fatto comprendere in primis a noi di “potercela fare” pur non vivendo in un territorio sviluppato, almeno non quanto Milano. Questo forse ci ha dato la carica per credere nei nostri sogni, ci ha fatto credere nel nostro talento e ci ha fatto capire che non è importante il contesto dal quale veniamo, ma quanto ci crediamo in ciò che vogliamo realizzare. In più, la coalizzazione ha giocato un ruolo fondamentale, è proprio vero che l’unione fa la forza: ci definirei come un piccolo collettivo di gente che si conosce, si supporta e collabora tra loro.
Questo inevitabilmente ha portato a creare dei progetti vincenti. Abbiamo trasformato il non avere risorse in fame, la fame l’abbiamo trasformata in arte.
Riguardo il legame con la mia terra, devo ammettere che prima di viaggiare costantemente a Milano non ero particolarmente legata, anzi: lo sentivo come un posto che mi stava stretto e dal quale volevo scappare. Da anni vengo regolarmente a Milano, al punto di trasferirmi, ed arrivati a quel punto senti la mancanza del dialetto di casa, i panzerotti, la vita lenta, il sole cocente ed il mare cristallino a pochi kilometri.
Sicuramente, il fatto di non essere più “sola” nel mio lavoro, ma di essere in tanti e tutti provenienti dallo stesso luogo, ha incrementato il mio senso di appartenenza. Se dovessi descrivere il legame con la mia terra, più nello specifico con le mie origini salentine, sarebbe questo, e spero che un po’ traspaia nel mio lavoro nella moda. In quest’ultima, infatti, voglio che rappresenti la mia visione dello streetwear, ma nello specifico la collettività. Nella definizione di Wikipedia, streetwear infatti include elementi hip-hop, che è una disciplina che include la collettività. E’ nata per creare un senso di appartenenza a gente che si sentiva emarginata, non ancora rappresentata.
Per te, la moda è principalmente lavoro o una forma di espressione? La vivi come una passione o come una professione?
Per me è senza dubbio un’espressione del mio essere, quasi una mia “performance artistica” che voglio abbia un miglioramento continuo, una ricercatezza che sempre più accurata. La moda è qualcosa che non mi soddisferà mai ed il che mi da ancora più carica. Quando indossiamo qualcosa, è perché quest’ultima rappresenta la nostra personalità, le nostre ricerche, perciò per me è senza dubbio una forma d’espressione. Il momento in cui la vivo come una professione è quando devo dar prova di essere affidabile, professionale ed efficiente: ad esempio quando devo presentare un progetto di styling entro una certa data, quando fornisco il necessario sul set ed ovviamente, quando scrivo e-mail ai brand!
● Qual è il tuo rapporto con Milano? Ritieni che l’ambiente della moda milanese sia inclusivo verso chi arriva da altre realtà? Ritieni che sia giusto definirlo femminista?
Mi cogli in un momento in cui ho paura di Milano e non mi sento affatto sicura a viverci. Aldilà del discorso sicurezza, che è un’altra storia, si sa che è una città che offre mille opportunità, e posso dire di aver conosciuto gente che mi ha fatto sentire compresa e supportata, che apprezza ciò che faccio. Milano è inoltre una città che da mille stimoli: eventi, mostre, sfilate. Improvvisamente la passione che giù al sud non era vista come un vero lavoro, sembra essere compresa e supportata. Sicuramente, affinchè l’ambiente della moda sia inclusivo, bisogna essere selettivi ed inserirsi nel contesto più conforme a noi, può capitare di sentirsi fuori luogo in molte circostanze o peggio, sfruttati a proprio vantaggio.
Per come ho vissuto l’ambiente, lo ritengo abbastanza femminista: ho lavorato in set di sole donne e c’era molto supporto reciproco, quest’ultimo ovviamente non viene a mancare nemmeno dalla componente maschile. Probabilmente sono stata fortunata, ma non ho mai vissuto episodi spiacevoli o sessisti a lavoro. Se parliamo dal punto di vista generale, invece, le Maison lanciano collezioni in cui il femminismo gioca un ruolo chiave, reinterpretato da ogni direttore creativo, perché ovviamente la moda è anche divulgare un messaggio, un’idea.
C’è una domanda che avresti voluto che ti facessimo ma che non è arrivata?
Non particolarmente, anzi: ho trovato tutte le domande piuttosto piacevoli e con interessanti spunti di riflessione.
E, come sempre, la nostra domanda ricorrente: che Persona sei?
Una persona “work in progress”. Credo di essere una persona che ha ancora tanto su cui migliorare, artisticamente ma anche umanamente parlando, ma la fortuna è che a vent’anni abbiamo tutto il tempo del mondo